05 settembre 2015

LA PRODUZIONE DI FILATO DI GINESTRA NELL'AREA GRECANICA: IL RACCONTO DELLE NONNE

Fig. 1 _ Ginestra o Spartium
Dall'etimologia: il nome deriva dal greco sparton o spartion
con il quale i Greci denominavano diverse piante a forma di giunco


La Ginestra (Spartium Junceum L.) è una pianta della famiglia delle Fabaceae, tipica degli ambienti mediterranei che sin dall'antichità fu impiegata come pianta da fibra. Era utilizzata, infatti, da Fenici, Cartaginesi, Greci e Romani per la produzione di stuoie, corde e manufatti vari. La stessa etimologia della parola greca "spartos", che significa corda ne conferma il suo impiego. 





Fig. 2 _  Strisciata fotografica
fasi di lavorazione (*)
La ginestra molto abbondante nel territorio aspromontano dell'Area Grecanica e nella vallata dell’Amendolea, si lavorava per ottenere il filato, detto appunto filato di ginestra (to nèsimo to spàrto). Secondo i racconti di nonna Elisabetta Valastro su quest'antica pratica artigianale, s’iniziava la lavorazione per produrre il filato di ginestra dopo la sfioritura nel mese di agosto, ci si recava la mattina presto, alle prime luci dell'alba, nei luoghi dove erano presenti i folti cespugli di ginestra, qui si tagliavano a uno a uno i giunchi più lunghi, grossi e meno ramificati “o spàrto”, in greco - calabro, con un'attenta selezione. Raccolti i giunchi e legati in fasci erano trasportati sulle rive della fiumara dell'Amendolea, qui erano puliti  e bolliti in grandi pentoloni di rame a fuoco lento, per circa tre ore con l’aggiunta di cenere allo scopo di ammorbidire gli steli; in epoche più moderne, negli anni Cinquanta del Novecento alcune donne usavano anche la soda caustica invece che la cenere secondo quanto ricorda nonna Elisabetta, che si rifiutò sempre di cambiare le sue tradizioni e continuava a lavorare con il metodo naturale come le era stato insegnato dalla madre. Finita la bollitura, gli steli erano fatti raffreddare e legati nuovamente in fasci per essere immersi in ammollo nell'acqua corrente della fiumara per la macerazione. 
La macerazione  era praticata con la sistemazione dei nuovi fasci sotto il peso di grossi massi, per circa otto giorni e serviva per ammorbidire completamente la fibra di ginestra e facilitare le operazioni successive di distacco di parti. Dopo otto giorni nonna Elisabetta si recava di nuovo alla fiumara sollevava i massi e recuperava i fasci ormai macerati per passare alla seguente fase di lavorazione, che consisteva nello sfilacciare gli steli lasciati a macerare per separare la fibra dall'anima interna, lo si faceva attraverso la pratica della scorciaturaciò avveniva con il cospargere gli steli macerati di sabbia fine, presa direttamente dal greto della fiumara, per poi strofinarli energicamente a mani nude, questa pratica era molto faticosa e dolorosa e determinava numerosi graffi e dei piccoli tagli nelle mani, tanto che per disinfettare e guarire in fretta si ricorreva spesso all'essenza di bergamotto. Finita la scorciatura si proseguiva con la sfibraturapraticata serrando pochi steli alla volta fra le dita e strappandoli con decisione, in modo da separare la fibra dal canapulo. La fibra ottenuta doveva essere ancora raffinata per ottenere il filato per tessere al telaio e quindi si doveva privare dalle parti legnose e dal verde della clorofilla, questo avveniva in una seconda parte della giornata dopo una breve pausa attraverso il processo di battitura, sempre praticata nel greto della fiumara. 
La battitura si eseguiva con robuste mazze di legno, che battevano sulla fibra ancora impura, costituita da fibre verdastre con rametti e impurità,  sistemata a piccoli fasci su grossi massi, con l'impiego di grande energia s'intervallano colpi a frequenti sciacqui e strizzature per purgare e sbiancare la fibra.  Finite queste fasi di lavorazione nel greto della fiumara, dopo l'asciugatura, la nonna portava le fibre ottenute a casa per la cardatura e  la filatura, sistemava la materia prima ottenuta nella cesta,  che in seguito sistemava a sua volta in testa, partiva. Arrivata a casa la riponeva per riprendere la lavorazione nei giorni seguenti. 
Le fibre lavate asciugate e portate a casa si presentavano aggrovigliate e ancora miste a scorie legnose e cuticolari, grazie a una grande pazienza, a una lavorazione manuale con l'ausilio di cardi, pettini fatti con tavolette di legno anche di forma quadrata o circolare ricoperte di cuoio con infissi decine di chiodi, si procedeva a ripulire le fibre, ammorbidendole, allungandole e selezionandole per la successiva filatura. Attraverso la cardatura delle filacce grezze si ottenevano due filati: il primo per l’ordito e il secondo per la trama; quest'ultimo costituito dalla fibra, rimasta tra i denti del cardo,  in seguito si lavorava ancora con successiva filatura per un'ulteriore raffinatura. La filatura era la fase più difficile dell’intero processo di lavorazione, e consisteva nel trasformare la fibra in filato con alcune operazioni manuali laboriose e sincronizzate. Ci si avvaleva dell’uso della rocca, uno strumento che serviva a contenere la fibra, e del fuso, che con movimento rotatorio attorcigliava le fibre su se stesse filandole all'infinito. In alcuni casi si filava con "u filacellu", dove il movimento rotatorio per la filatura era generato da un’apposita pedaliera, mentre l’alimentazione della fibra era esclusivamente manuale. 
‘U filacellu", sempre uno strumento di carattere artigianale e manuale, aiutava a velocizzare la lavorazione e a rendere più regolare il diametro del filato. Ottenuto il filato di ginestra, la nonna lo sistemava in due ceste distinte, una serviva a contenere quello grezzo e l'altra quello che doveva essere colorato. 
Secondo i racconti sia di nonna Elisabetta sia di nonna Vincenza la coloritura dei filati era effettuata con sostanze vegetali con differenti metodi di estrazione e quindi di applicazione. Gli stessi fiori della ginestra erano usati per tingere di giallo; per il colore marrone, invece, si ricorreva al decotto con il mallo della noce, oppure venivano utilizzati la melagrana e le more a seconda dei colori che si volevano ottenere. Le tinte scelte dipendevano sempre dal tipo di prodotto finale che si voleva realizzare e dallo schema del disegno decorativo che si sceglieva per il tessuto che si andava a realizzare.  


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NOTE: 

(*) A me sono arrivate solo le testimonianze orali e non fotografiche, della lavorazione della ginestra per la realizzazione del filato tessile, praticata dalle mie nonne nell'Area Grecanica in provincia di Reggio Calabria. Le immagini fotografiche dimostrative nel collage creato per le fasi di lavorazione e pubblicate in quest'articolo, sono frutto di ricerche e successivo montaggio con lavorazione grafica. L'autore delle foto è il Prof. Pasquale Filippelli di Mirto Crosia in provincia di Cosenza, la fonte iconografica la si può visionare collegandosi alla sezione WEBGRAFIA in alto, a sinistra e sotto la sezione BIBLIOGRAFIA. 

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